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Ci ha lasciati Carlo Ferdinando Russo, direttore di “Belfagor”

Il 26 luglio 2013 è scomparso Carlo Ferdinando Russo, direttore per decenni della rivista “Belfagor”, che aveva cessato le pubblicazioni con il fascicolo del 30 novembre del 2012.

Così commentava la notizia della chiusura della rivista Raoul Bruni sul “Manifesto”:

Non sarà certo facile elaborare il lutto per la chiusura di «Belfagor», che ha interrotto le sue pubblicazioni alla fine del 2012. E’ stata una delle pochissime riviste culturali davvero decisive dell’Italia contemporanea. Fondato nel 1946 da Luigi Russo, italianista tra i più influenti del secolo scorso, il periodico bimestrale di «varia umanità» era giunto al suo sessantasettesimo anno di vita in ottima salute, senza mai smarrire quello spirito eretico e dissacrante che aveva dettato la scelta del nome «Belfagor», mutuato da un diavolo di machiavelliana memoria. Merito, soprattutto, di Carlo Ferdinando Russo, il raffinato filologo classico, figlio di Luigi, che fu magna pars della redazione di «Belfagor» fin dal primo numero per poi assumerne la direzione a partire dal 1961 (anno della scomparsa del padre, che aveva diretto la rivista fino ad allora in tandem con Adolfo Omodeo). 

In una recente intervista a proposito della fine della rivista, Russo ha dichiarato che «L’esperienza di “Belfagor” non è ripetibile». Difficile dagli torto, anzi: con la chiusura del periodico giunge forse al termine la lunga stagione delle grandi riviste letterarie. Sarebbe pressoché impossibile indicare una rivista attualmente in attività che possa in qualche modo ereditare le istanze critiche che guidarono «Belfagor». Il suo spirito battagliero potrebbe forse ritrovarsi nell’ambito dei blog letterari, che però, salvo rare eccezioni, non accompagnano alla vis polemica il rigore e la competenza necessari. Come che sia, i 400 fascicoli di «Belfagor» usciti dal 1946 ad oggi rimangono una ricchissima miniera di spunti e ricognizioni utili non solo per ricostruire le più importanti vicende culturali contemporanee ma anche (e anzitutto) per illuminare il nostro presente. Che avrebbe più che mai bisogno del pungolo di quell’implacabile diavolo machiavelliano.

L’importanza storica e culturale della rivista sta soprattutto nelle sue realizzate ambizioni di serietà scientifica e metodologia in campo letterario, e storico-artistico in senso più ampio. Il nome “diabolico” voleva certamente evocare il desiderio di opporsi ad atteggiamenti dogmatici e conformisti, tanto diffusi negli ambienti cosiddetti “colti” d’Italia, atteggiamenti che alla fine si traducevano (e si traducono) in superficialità e provincialismo presuntuoso, e introdurre analisi legate alle vicende politiche e sociali, senza schieramenti ideologici preconcetti.  Purtroppo, come spesso accade, la coraggiosa posizione della rivista è rimasta limitata ad una piccola cerchia di conoscitori, senza riuscire ad avere quella vasta eco che meritava. E’ stata pubblicata prima da Vallecchi, poi da G. D’Anna e infine da Leo S. Olschki, che dopo la chiusura ha messo in formato digitale l’intera collezione e gli indici dei 402 fascicoli (http://www.olschki.it/riviste/belfagor.htm#digitale).

 

  

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