Skip to content Skip to left sidebar Skip to footer

Monti ed acque: uno sguardo sulla Cina. “La canzone dell’eterno rimpianto” di Wang Anyi

Wang Anyi

La canzone dell’eterno rimpianto

Torino, Einaudi, 2011

 

Finalmente esce in Italia, tradotta da Maria Rita Masci, un’opera chiave della letteratura cinese contemporanea, pubblicata in Cina nel 1995.

Wang Anyi non è l’ultima arrivata: è la presidente dell’Associazione degli scrittori di Shanghai, appartiene ad una famiglia di letterati e scrittori, e per quest’opera ha ricevuto nel 2000 il premio Mao Dun. Non è un personaggio controcorrente e non è stata censurata, e dunque le sue quotazioni di mercato e mediatiche sono un po’ più basse.  In Francia il libro è uscito nel 2006, l’edizione inglese è del 2008, e tutti concordano nel definirlo un capolavoro letterario, un approdo a cui la scrittrice giunge dopo essersi misurata con storie più autobiografiche che ricostruiscono l’esperienza dell’andata in campagna e del difficile rientro in città della generazione della Rivoluzione culturale (l’autrice è nata nel 1954.

In una conversazione tenuta a Shanghai nel 1986, Wang Anyi compendiava nella frase “Siamo i peggiori nemici di noi stessi” la filosofia elaborata a proposito dell’intreccio tra eventi della grande storia e destini individuali, sottolineando che oltre ai conflitti con il mondo esterno, quello che conta sono i conflitti interiori e che ognuno di noi è soggetto a questa duplice pressione. La stessa esperienza tragica della Rivoluzione culturale andava letta in questa chiave e la scrittrice invocava un coraggioso autoesame di ciascuno nel rielaborare quella esperienza.

Con La canzone dell’eterno rimpianto l’ambizione della scrittrice è di intrecciare il conflitto interiore e le pressioni esterne, ritraendo la storia di una donna dagli anni Quaranta agli anni Ottanta in una Shanghai che può essere considerata la coprotagonista della vicenda. Scandito in tre parti, le prime due con un’apertura folgorante di prosa poetica, il romanzo si addentra nei dettagli della vita quotidiana di una serie di personaggi minori, all’ombra della grande storia, che conservano una identità propria nonostante il rullo compressore delle trasformazioni rivoluzionarie della nuova Cina.

Come ha scritto Maria Rita Masci, che ha dovuto affrontare un arduo compito di traduzione, data la complessità della scrittura dell’autrice, spesso ispirata a moduli classici:

“Oltre che nella complessità e ricchezza dei piani interpretativi, la grandezza del libro risiede soprattutto nella scrittura e nello spazio interiore che viene messo in primo piano. Nessun altro autore contemporaneo ha utilizzato la lingua con la ricchezza espressiva di Wang Anyi. La lingua sembra crescere su se stessa, moltiplicarsi in segmenti che vanno sempre più nel profondo con una grande capacità di descrivere le sfumature”.

I brani letterariamente più coinvolgenti sono le carrellate su Shanghai ed i suoi vicoli, da diversi punti di osservazione, dal basso ma soprattutto dall’alto, a volo di piccione, e la descrizione di Wuqiao, il borgo di campagna in cui la protagonista si rifugia, oasi di pace in una Cina in tumulto al passaggio della Liberazione del 1949. Nella terza parte è la Shanghai degli anni Ottanta che ci si offre allo sguardo, soprattutto attraverso la corsa alla moda delle  giovanissime, che animano di nuova vita una città provata da decenni di decadenza e abbandono.

L’eroina, Wang Qiyiao, vive la sua “educazione sentimentale” nella Shanghai delle feste, del cinema e dei concorsi di bellezza: scartata dopo un provino cinematografico, per la sua bellezza troppo ordinaria, si classifica  Terza Miss in un concorso dopo essere stata valorizzata per la sua freschezza e la sua grazia da un fotografo che ne pubblica il ritratto su una rivista. Intraprende così una vita mondana, e diventa la mantenuta di un funzionario del Guomindang, che le offre uno splendido appartamento in un condominio di giovani donne recluse ma dallo spirito libero. Wang Qiyao vive ignara di quanto avviene nel mondo esterno, della battaglia finale tra Nazionalisti e Comunisti. Non legge i giornali, non ascolta la radio: passa il tempo  in vestaglia ad ascoltare al grammofono le arie di Mei Lanfang, il grande cantante d’opera che interpreta la concubina del re di Chu.

Nella seconda parte, scomparso il suo protettore in un incidente aereo, la giovane donna si trasferisce nella Shanghai dei vicoli, guadagnandosi la vita facendo iniezioni, ma riesce a preservare qualcosa dello spirito del passato ed a coltivare amicizie che sanno ancora apprezzare il gusto, che si tratti di abbigliamento o di pietanze: “l’esistenza di moltissime persone era andata in pezzi nel giro di una notte, e i frammenti si erano sparsi ovunque. Il quartiere di Ping’anli era un anfratto della città che nascondeva alcune vite spezzate”. L’autrice ci descrive una società piccolo borghese che sopravvive passando il tempo in chiacchiere, in pettegolezzi, nel gioco delle carte o del Majiang e andando al cinema: “L’ultimo spettacolo era una delle poche forme di vita notturna superstiti, una delle poche luci di quella città insonne che non fossero ancora state spente”. Wang Qiyao ed i suoi amici, fanno poco caso a quanto avviene attorno a loro: quando si scatena la campagna contro la destra e poi il Grande balzo in avanti, quasi non se ne accorgono: “un piccolo mondo che viveva ai margini di quello grande, in una delle sue fessure, ignorato e per questo in salvo”. Ritornano anche amici dell’epoca precedente, come il fotografo Cheng, sempre innamorato di Wang Qiyao, il cui appartamento è rimasto identico: “Niente era cambiato, come se fosse stato nascosto in una capsula del tempo”. Cambiata invece moltissimo è l’amica Jiang Lili, che se in passato declamava poesie romantiche alla luna ora sembra recitare una parte nella sua adesione fanatica ai principi rivoluzionari: eppure anche lei non è mutata nei sentimenti più profondi, nell’amore per Cheng e nella rivalità con Wang Qiyao.

Nel 1966 la tempesta della Rivoluzione culturale si abbatte sulla città, strappa il sipario sugli interni delle case e dei cuori:

“Quell’estate i segreti della città vennero esposti in pubblico….Si videro utensili di vetro e porcellane Ming o Qing finire in frantumi, libri, dischi e scarpe coi tacchi bruciare nei falò; insegne dei negozi venir divelte da sopra le porte; mobili di mogano, vestiti da uomo o da donna, pianoforti e violini, accumularsi nello spazio di una notte nei negozi di roba usata. Erano i resti dei segreti, fossili di esistenze…. Alla fine dei veri cadaveri comparvero nelle strade affollate di gente”. Tra questi anche quello di Cheng, che si suicida dopo la devastazione del suo studio fotografico.

Ritroviamo Wang Qiyao nel 1976, alla vigilia delle riforme che favoriscono la rinascita della città e la accompagniamo negli anni Ottanta, in cui gode di una ritrovata popolarità tra i giovani, maestra di estetica del quotidiano. Ma accanto alla città e all’eroina, il vero protagonista è lo scorrere del tempo, che corrode e consuma, ed anche la volgarità e l’avidità che contrassegnano i tempi nuovi. L’esistenza di Wang Qiyao finisce melodrammaticamente, come in una scena che aveva visto ricostruita su un set cinematografico degli anni Quaranta.

(Silvia Calamandrei) 

« Torna indietro