Uno sguardo sul futuro: “The Game” di Alessandro Baricco
Alessandro Baricco
The Game
Torino, Einaudi, 2018
Stavolta non bisogna farsi prendere dalla diffidenza e dall’antipatia per la saccenza di Baricco, perché con The Game ha scritto un seguito ai Barbari (2006) che aiuta ad orizzontarsi nel presente sempre più digitalizzato e a sintetizzare una serie di verità, sia pur banali, sul percorso della rivoluzione che ha cambiato le nostre vite.
Ci conduce per mano a partire dal secolo scorso, tratteggiando la “fuga dal Novecento” intrapresa a partire dalla California, prima per una minoranza elitaria e via via per una massa di individui sempre più numerosa, tendenzialmente coincidente con gli abitanti di un pianeta globalizzato.
Se l’invasione dei barbari era osservata con alcune preoccupazioni quindici anni fa, ora la loro vittoria è assodata e bisogna farci i conti, nonostante le resistenze opposte dalle élite novecentesche al volgere del secolo e le nuove resistenze che si sviluppano al giorno d’oggi da coloro che ormai appartengono al nuovo mondo ma ne denunciano difetti e tradimenti.
La data di svolta risale secondo Baricco al 1978, con Space Invaders, un videogioco in cui si sparava agli alieni, destinato a spazzar via calcio balilla e flipper. Già, perché la dimensione ludica è fondamentale nella identità delle nuove tecnologie digitali che ci introducono ad un oltremondo virtuale in cui siamo tutti connessi. Uomo, tastiera, schermo, una postura che si impone e che si evolverà solo con l’introduzione dello smartphone da parte di Steve Jobs nel nuovo millennio, consentendo a miliardi di utenti di passeggiare digitando ed ascoltando musica senza più bisogno di sedersi davanti al computer: anche l’i-phone veniva presentato come un gioco, era divertente, forse anche un po’ regressivo, un ritorno all’infanzia che ci liberava dalle tante autorità di riferimento e ci faceva sentire padroni dei nostri percorsi e delle nostre esplorazioni.
Baricco ha probabilmente accumulato tante letture e riferimenti in materia (manca comunque una bibliografia), ma sa porgerci le sue conclusioni con garbo e pathos comunicativo; non è tutta farina del suo sacco, ma sa presentarcela in un imballaggio attraente, e con un messaggio rassicurante. Non siamo vittime del cambiamento tecnologico, anzi eravamo pronti per accoglierlo. Cioè la rivoluzione digitale, il nuovo strumentario a disposizione, è il risultato di un cambiamento della mentalità, di una rivoluzione mentale che ha preceduto e predisposto l’innovazione. I nuovi tools hanno solo rivelato e svegliato il multitasker che era in noi.
Alla utile parte storico descrittiva compendiata in una serie di parole chiave (tramonto delle mediazioni, distruzione delle élite, smaterializzazione, umanità aumentata, oltremondo) fa seguito una conclusione aperta che tenta di prefigurare un nuovo “umanesimo”: è forse quella che lascia più insoddisfatti, ma Baricco guarda con ottimismo verso il futuro, sostenendo che “il Game è un sistema giovanissimo che sprigionerà tutte le sue potenzialità solo quando sarà interamente disegnato da intelligenze da lui stesso disegnate”, insomma quando sarà completamente in mano ai “nativi digitali”.
Non manca anche una riflessione sugli esiti politici e sull’attualità del populismo, frutto della cancellazione delle intermediazioni e della ipertrofia degli individui che si sentono onnipotenti; Baricco è attento al possibile emergere di nuove èlite, capaci di post-esperienza, “gente capace di far reagire chimicamente materiali che nel Game son sparsi ovunque”. Costoro”incarnano una forma di intelligenza che nel ‘900 sarebbe risultata avanguardistica e che ora è destinata a diventare l’intelligenza di massa: quella più diffusa, perfino banale”. La fuga dal Novecento sta approdando a nuovi territori.
(Silvia Calamandrei)