Jie Li
Utopian Ruins, a Memorial Museum of the Mao Era
Duke University Press, 2020
Rovine dell'Utopia ma anche rovine utopiche,
sono l'oggetto della riflessione di Jie Li, che immagina di costruire un
memoriale dell'epoca maoista, un museo archivio che assembli diversi tipi di
sopravvivenze e tracce del passato: cartacee, fotografiche, oggettistiche,
architettoniche, ambientali e paesistiche, aiutando le nuove generazioni a
combattere l'amnesia imposta dalle autorità e le vecchie generazioni a dare testimonianza
risvegliandone i ricordi. Perché la narrazione storica è frutto di un intreccio
intergenerazionale e di stratificazioni di memorie che si prestano a nuove
letture.
Frutto dell'approccio dei Cultural Studies, questa
ricognizione sui materiali e i segni che evocano la memoria della Cina maoista
è anche un'utile riflessione storiografica ed archivistica, spingendoci ad
interrogarci su come narrare un passato controverso come quello della
Rivoluzione culturale riflettendone la complessità e la sfaccettatura, senza
appiattirlo alle ragioni dei vincitori o dei vinti.
Perfino in carcere o in un campo di lavoro restano segni
vitali di testimonianza, così come gli archivi di polizia e dei tribunali
custodiscono materiali preziosi per ricostruire il punto di vista degli
imputati.
Una volta dischiusi, gli archivi della Stasi hanno offerto
materiale prezioso, ma anche controverso, e suscettibile di generare nuovi
conflitti. Quelli cinesi, tuttora secretati, hanno avuto momenti di parziale
apertura, soprattutto nelle fasi di revisione degli antichi verdetti facendo
filtrare documentazione poi circolata in pubblicazioni e in rete, come nel caso
di un giudice in pensione che si è messo a studiare i fascicoli di un poeta da
lui processato come "elemento di destra", Nie Gannu, successivamente
riabilitato.
Ne sappiamo qualcosa anche in Italia, dove le carte dei
processi sulle stragi e sul terrorismo custodite nei tribunali hanno consentito
agli studiosi e agli storici di continuare a scavare in cerca della verità: basti
pensare al libro di Benedetta Tobagi sulla Strage di Stato o all'edizione
critica del Memoriale di Moro. Il giudice che indaga retrospettivamente
sull'imputato ritrova non solo tante delle sue poesie oggetto di censura e di
critica che Nie Gannu aveva bruciato prima delle perquisizioni per occultare le
prove contro di sé (poesie trascritte magari dai suoi denunciatori, carissimi
amici appartenenti ad un sodalizio di letterati che cominciò ad essere
perseguitato all'epoca del caso Hu Feng (1955)), ma anche i verbali delle sue
conversazioni, appuntate dai delatori. Ne emerge un ritratto assai più
sfaccettato che quello ricostruibile dai suoi scritti. Inoltre in carcere
l'imputato redige poesie su commissione per dimostrare il proprio pentimento o
la propria adesione al regime, in forma di autocritica: ma anche in esse si
possono ritrovare segnali o indizi di resistenza, in un linguaggio allusivo
ereditato dai classici. "Leggendo tra le righe", come Piero Calamandrei
invitava a fare per i suoi scritti sotto il fascismo, si scopre la "resilienza"
degli intellettuali perseguitati per decenni, costretti a seguire le successive
svolte dei propri persecutori.
Come in ogni regime totalitario, il fascicolo personale di
ciascuno, stratificazione di critiche ed autocritiche, nonché di momenti di
delazione e denuncia di altri, custodisce verità molteplici, e non solo
doppiezze, poiché secondo l'autrice, che insegna ad Harvard, c'è un continuo
intreccio tra la condizione di vittima e quella di persecutore, tra la partecipazione
all'utopia e la disillusione. Molti degli intellettuali accusati di deviazioni
di destra sono stati anche zelanti propagatori del verbo rivoluzionario ed
hanno aderito con entusiasmo all'edificazione della nuova società.
Pur muovendo dall'invito del 1986 dello scrittore Ba Jin a
edificare un Museo-memoriale della Rivoluzione culturale, perché le nuove
generazioni non dimentichino (Ba Jin che aveva visitato Auschwitz e il
memoriale di Hiroshima e se ne era in qualche modo ispirato pur non identificando
vicende non omologabili), l'autrice ne espande l'arco temporale oltre il
decennio della Rivoluzione culturale, comprendendovi anche la carestia del
Grande Balzo in avanti, e ipotizza il ricorso a materiali plurimi di
testimonianza da cui emerga il coinvolgimento di gran parte della popolazione
nello sforzo utopico di costruzione di una nuova Cina egualitaria e prospera.
Per questo le fotografie, i manifesti di propaganda, i manifesti a grandi
caratteri, i distintivi, le statue celebrative ma anche gli ambienti collettivi
delle fabbriche di stato e delle Comuni popolari, oltre alle tante memorie
scritte, dovrebbero insieme concorrere ad una ricostruzione del passato.
I primi due capitoli sono dedicati alle memorie scritte,
come quelle scritte nel sangue dalla giornalista Lin Zaho, condannata a morte
nel 1968, che è stata capace di trasmettere le sue riflessioni alle future
generazioni, senza mai perdere la volontà e la speranza di passare il testimone
a quanti la avrebbero ascoltata. Il secondo capitolo è dedicato agli
innumerevoli fascicoli personali custoditi, già commentati per il caso
emblematico del poeta indagato dal giudice.
I capitoli 3 e 4 affrontano le immagini fotografiche e
filmiche, facendo i conti con la difficoltà di reperire immagini negative
connesse alla grande carestia e alle persecuzioni, e compensando con
documentari stranieri come quelli di Ivens e Antonioni per scovare immagini
meno propagandistiche e retoriche.
Nel quinto capitolo si parla di spazi ed ambienti delle
grandi fabbriche di Stato dismesse e delle Comuni popolari disciolte,
archeologia industriale di un passato epico in cui le masse popolari erano
almeno nominalisticamente padrone dello Stato. Guardate oggi con nostalgia dai
disoccupati e dai contadini inurbati, memori di alcuni privilegi garantiti.
Oggetto di documentari e ambientazioni di interviste dell'oggi da parte di
nuove generazioni di documentaristi e registi come Wang Bing (West of the
tracks) e Jia Zhangke (24 City), talvolta queste rovine industriali
vengono riconvertite in nuovi residence alla moda.
Infine il sesto capitolo passa in rassegna siti della
memoria promossi in Cina da autorità locali o privati, o radunando memorabilia
da collezionisti o riorganizzando luoghi traumatici come ex campi di lavoro o
cimiteri delle Guardie rosse perite negli scontri di fazione. Da queste
esperienze l'autrice trae spunti per suggerimenti per i futuri curatori di
musei archivio del passato, combinando dimensione di elaborazione dei traumi e
curiosità oggettistica.
Curiosamente, nessun cenno viene fatto ad un altro
fondamentale ricordo rimosso, quello dei fatti di Tiananmen, ben più vivo nelle
memorie presenti e ben più scottante per le autorità che ne impediscono perfino
la nomina. Ma evidentemente esulava dal campo di indagine che l'autrice si è
proposta, e troppo recente e politicamente sensibile per essere oggetto di
musealizzazione.
(Silvia Calamandrei)
Jie Li, Utopian Ruins, a Memorial
Museum of the Mao Era, Duke University Press, 2020
Utopian Ruins but also Ruins of an Utopia are
the subject of Je Li's work, enquiring how to build a memorial of the Maoist era, an
archive-museum assembling together different pieces and traces of the past: on
paper, in films and photographical work , as objects of articraft, as architectural
environmental and landscape signs, so to
help new generations to fight against imposed amnesia and old generations to
awaken and remember: in fact historical
narrative is the fruit of intergenerational
imbrication and stratification of memories, open to new readings.
A result of the"cultural studies" approach, this study of
materials and signs evoking Maoist China memories is an useful tool in the
debate on history and archivistic research: the open questionis how to narrate
a controversial pastas the Cultural RevoluTion period, not flattening it to the reasons of the
winners or the losers and reflecting all the contradictory aspects and
complexity of past experiences.
Even in jail or in labour camps it was possible to leave
signs and testimonies and the police and court archives keep precious records
to understand the reasons and the motivations of the "culprits".
In Eastern Germany, once opened, the Stasi archives offered
precious and controversial materials, apt to generate new conflicts. The Chinese
archives, yet secret, had their moments of partial accessibility, mainly when
ancient verdicts where revised, leaking documents and testimonies that
circulatd on social media, ingenerating new debates. The most interesting case
is the ancient judge revisiting the
files of Nie Gangu, a poet confined to labour camp as a rightist, that he had
contributed to sentence to jail.
In Italy we know how important are court archives to search
on terrorism and Secret service involvment in bomb attacks in the Seventies, as
shown by Benedetta Tobagi work on the "strage di stato" processes and the
scientific editing of Aldo Moro's Memorial by the State Archives.
In the judge investigation, he happens to find not only
poems that Nie gannu had burned to avoid being accused, copied by friends who
gave him up,but also poems written in jail, on request of his jailers, that can
be read with different interporetations:
"reading through the lines" of what is written under dictatorships is what
Piero Calamandrei was encouraging in relation to his own writings under
fascism. In his files he finds salso the recording of conversations with
friends that belonged to the same intellectual circle, the Hu Feng clique,
under attack as rightist and counterrevolutionaries since 1955. Under
totalitarian pressure each individual tries to show his willingness to
cooperate, giving evidence against friends: but realistic portraits emerge of
these intellectuals, each betrayng the other, persecutors and victims at the
same time.
The author, professor at Harvard, shows us howin a
totalitarian regime personal files portray a multiple layered truth, where the
same person is a believer and an opposer, a propagandist of utopia and a
critical viewer of the disasters provoked by propaganda.
Following Ba Jin's invitation to build a memorial of the
Cultural Revolution, Jie Li expands its
temporal scope to previous disasters, as the Great leap forward and proposes to
enlarge the portrait beyond the intellectuals who were the main victims, to
focus also on workers and peasants mobilized in the gigantic effort to build a
New China.
Two chapters are dedicated to written
testimonies, the first the written in blood memories of Lin Zhao, a journalist
senteced to death in 1968 who was able to transmit her thoughts to future
generations, never giving up her willingness and hope to leave a message to be
heard. In the second chapter a study of
the personal files that we have already commented.
Chapter 3 and 4 deal with photographic and film images of
the epic construction of Socialism, coping with the difficulty of finding any
negative image of famine and persecutions, and considering the foreign
documentairies of Ivens and Antonioni ad an useful realistic input contrasting
with the rhetoric of propaganda.
Chapter 5 deals with the ruins and left overs of huge State factories and
People's Communes, industrial archeology of epic efforts of workers and
pesants, dismissed or scattered in the Modernization of the Eighties and
Ninenties, and maybe nostalgic of their pivotal role in the past and the
privileges of a working class who was nominally directing the Socialist State. These industrializations
ruins are the locations of documetaries and movies of a new generation of
filmmakers, as Wang Bing (West of the Tracks) or Zha Jiangke (24 Hours) and
sometimes are reconverted in new fashionable compounds.
Finally, in chapter 6, the author gives us a survey of
existing memorials, most of them fruit of local or private initiative: ruins of
previous labor camps, or graveyards of Red Guards who died in factionnalistic
struggles, but also collections of memorabilia following the Maoist consumeristic
revival in the new millenium. Red memorabilia sites or trauma sites, if
combined, contribute to a better
understading of the past and to give suggestions to future curators.
What I personally find astonishing is that no mention is
made of another important subject of amnesia: the Tienanmen massacre, whose
memory is still very much alive and dangerous for China's rulers. But it was out
of the scope of this investigation, and too recent and politically sensitive to
be musealized.